2015 India – Saundatti 2/9 gennaio
Gaetano Baiunco
Nella prima luna piena del 2015, si celebra Yellamma, la grande madre portatrice di fertilità, la dea dei diversi, tutta quest’umanità fluisce verso la dea e in quel giorno si libera dalla sua fatica e oppressione.
Buoi, asini e cavalli trainano carovane di famiglie sorridenti, per raggiungere il tempio, si muovono lentamente lungo le polverose strade fino alla vasca sacra dedicata alla dea.
Gli uomini accompagnano le loro donne verso una rinascita spirituale, avvolti da una tenera e disarmante remissione. I buoi sono colorati da polveri fluorescenti con le corna contornate da fiocchi multicolori, tutto riluce di aspettativa per la tanta agognata notturna apparizione. I volti indossano una semplice serena umanità, tradita e vagamente mascherata dai segni del tempo, pelle levigata dalle forze della natura. Un semplice sguardo di uno straniero accende un sorriso che esplode in un gioioso saluto.
Moltitudine in movimento silenziosa, rispettosa dell’altro contornata da rami di Neem e coperta parzialmente da piccoli teli, a piedi nudi, gira in circolo attorno al tempio per sette volte dopo l’iniziazione sapientemente condotta dagli eunuchi che spezzano il filo che avvolge il tronco e le braccia, in bocca un ramo di Neem, l’adepto spezza il filo toglie i rami e presenta il suo simile alla divinità che tutti accoglie. Alcuni offrono fiori o versano il dolce latte di cocco sull’altare e altri nutrono la terra con chapati, frutta e spezie.
Tutto fluisce, genera si distrugge e si rigenera, si annulla per risorgere. La folla con mani giunte non si arresta, i pellegrini viandanti in perenne ricerca come in un fiume in piena sfociano alla meta. Si respira una serena convivenza, nessun tipo di tensione è percepibile fra individui accorsi al tempio da tutta l’India, diversi ma uniti in un solo atto verso una fraterna unica umile entità che chiede alla suprema divinità. Il turbinio di anime all’improvviso brilla di qualcosa d’intenso, sul suolo la sagoma di un essere umano che striscia si rotola, si genuflette nell’atto di annullare le sue terrene membra per ottenere una nuova rinascita e l’espiazione prima della catarsi verso la liberazione e sublimazione.
Le donne e la loro festa, la loro liberazione da un giogo ancestrale la loro forza immensa esplode in sussultuosi movimenti spasmi e gesti. Cercano il contatto con il divino, attraverso una sofferta trance che unisce il granello all’immenso, alla luce, il piccolo essere alla totalità all’energia che da vita alla luce che tutto sostiene.
Nei momenti di esplosiva emotività le altre donne proteggono le loro simili le dissetano le coprono le circondano e custodiscono la loro sacra dignità. Le vesti luride impregnate della sofferenza del duro vivere sono abbandonate sulle sponde del fiume, l’acqua elemento che toglie fa scivolare via il buio di una sottomessa esistenza. Nuove variopinte vesti ricoprono i corpi che si sono purificati immergendosi nel liquido generatore, elemento insostituibile esso stesso toglie il putrido e da vita. Sin dalle remote tenebre l’unione di terra acqua luce aria ha generato la vita. Yellamma di essi si serve e l’uomo sapientemente a essi si prosta. Gli uomini esibiscono una tenera e sorridente partecipazione tronfia della loro potenza generatrice meno chiedono alla dea ma esternano silenzioso rispetto coronato da un’infantile devozione. L’uomo allenta, solo per questa festa, le redini giogo della donna. Solo adesso, in quest’unica occasione, permettono l’esplosione di energia che cova dentro le femminili sembianze. Forse consci che una rigenerazione della donna moglie madre sorella sarà fonte d’immensa energia per tutta la comunità. Tutto intorno non vi è tensione l’umana spiritualità fluttua fra offerte, profumati incensi, vesti logore e colorati sari stesi al vento, le offerte continuano. Si offre cibo anche agli estranei in circolo chiunque è invitato a partecipare alla preghiera al desinare. Come operose formiche gestiscono brulicando la loro comunità cosi questa immensa, somaticamente diversa, moltitudine umana si annulla in un’unica offerta propiziatoria alla Dea.
Tamburi, eunuchi danzanti, icone variopinte portate in processione il profano, si amalgama con il sacro in una catarsi colorata da polveri che sono gettate su tutto sulla gente sulla divinità sulla terra simbolo di gialla energia che copre e rigenera tutto. Danze simulano movimenti in equilibrismi e soavi espressioni fra uomini, offerte in denaro agli eletti ai diversi per scelta compiuta in tenera età. Traspare fra gli uomini una forte complicità con gli eunuchi, le donne sono estranee a ciò. Esse sono volte verso la loro redenzione hanno solo un velato senso di comprensione e collaborazione fra loro, il loro volto, anche se dai caratteri somatici marcati, emana totale spiritualità, la sensualità traspare dai loro gioielli dalle loro cavigliere dagli sguardi sereni verso le altre donne. Non si nota affinità di sguardi e complicità fra uomini e donne, come se appartenessero a due emisferi diversi che si strusciano, ma non si contaminano. In questo multicolore turbinio appare fra la gente una giovane donna con poteri sciamanici, che sembra galleggiare sulla polvere, il suo portamento è divino, si staglia la sua figura dalla massa, i suoi capelli, l’unica pesante lunga matassa che sa di umano, il resto è avvolto da un’aura di luce che si genera, prendendo vita. Il suo aspetto trabocca di un senso di superiorità che ha radici nella sua stessa condotta e nella sua devota esistenza. La collana che indossano le donne sciamaniche è bianca, nodosa, di conchiglie frapposte, rigida come la loro maestosa chioma. Il martellante ritmo di tamburi l’accendersi all’imbrunire delle ubiquitarie lucerne muta tutto il panorama della valle. Ma le sopraggiunte tenebre non interrompono le inarrestabili marce di pellegrini. All’interno del tempio l’aria è intrisa di curcuma e pathos e i devoti girano vorticosamente attorno alla sacra nicchia. Le esternazioni di spasmi corporali al culmine dell’agognato contatto con la divinità sono sempre più frequenti ed eclatanti ma l’altro protegge l’atto di sublimazione che un suo simile sta vivendo, le percussioni non hanno tregua la luna sorge si eleva dalle tenebre, la frenesia si amplifica la polvere multicolore copre tutti e tutto. La donna risorge sempre con una forza e un’intensità che l’uomo può solo contemplare rispettare ma non può avere. Questo è un dono che Solo la donna può possedere. Il suo riscatto è compiuto, la luce lunare. Dalle tenebre di un’esistenza nell’ombra, la fa risorgere.
Gaetano Baiunco
Fabrizio Loiacono
Fumo, polvere, profumi di sandalo, odori forti di natura compromessa, mi accolgono insieme alla gioiosa ospitalità che mi avvolge, come un sottile vapore che sale dalla terra d’India e che ogni volta mi sorprende e mi affascina.
Sole.
Sole che riscalda, come i sorrisi aperti degli indiani che riscaldano il cuore.
E’ il mio quarto viaggio in questo continente straordinario, alla ricerca delle radici più vere di un popolo dalla storia millenaria. Siamo un piccolo gruppo di fotografi, cinque persone diverse, due donne e tre uomini, dalle esperienze differenti ma tutti accomunati dal noto “mal d’India”.
Il nostro obiettivo è raggiungere Saundatti, piccola località nella regione del Karnataka, dove la tradizione vuole che, al sorgere della prima luna piena dell’anno, si festeggi la Dea Yellamma, la divinità più vicina al mondo dei poveri, dei contadini, delle donne e dei diversi, in primo luogo degli eunuchi. Come lampi di luce nell’oscurità della notte, si aprono ai nostri occhi le immagini delle donne che si bagnano nella vasca dalle lunghe scalinate che degradano sino all’acqua pompata dall’antistante Saundatti. Nel lago, lavano le proprie vesti, abbandonano le cose vecchie, lasciano offerte per la divinità. Colori di ogni gradazione e tonalità riempiono il nostro sguardo come una tela sapientemente dipinta. Centinaia di migliaia di persone si muovono in continuazione percorrendo gli stretti sentieri, in senso alternato. Si respira un profondo spirito mistico; bambini, donne di ogni età, papà con i figli si prostano sdraiandosi sul terreno polveroso agitando in terra una bacchetta e pregando. Poi si rialzano riprendendo il loro cammino. La maggior parte sono ricoperti dalla polvere gialla della curcuma che viene lanciata in aria dai pellegrini festanti. Ben presto anche noi saremo completamente colorati e con noi le attrezzature fotografiche. Nessun occidentale è presente a questa cerimonia salvo noi cinque.
Molti indiani ci osservano meravigliati e increduli. Spesso ci chiedono di essere fotografati con loro. Siamo noi ad essere “trofei” digitali da mostrare con orgoglio attraverso lo schermo del loro cellulare. L’acqua, la terra e il fuoco sono i tre elementi naturali sui quali si basa la loro vita quotidiana e in occasione di questa celebrazione sono le tre tappe fondamentali per giungere alla purificazione del corpo e dell’anima. All’interno del tempio dedicato alla Dea, nugoli di polvere sottile gialla e rossa, si addensano nell’aria e ricoprono le pareti, le finestre, i corpi il terreno… come se il vento avesse improvvisamente sollevato la sabbia che si addensa nell’aria rendendo tutto evanescente, improbabile, nebuloso.
L’emozione, condivisa con i miei quattro compagni di viaggio durante questa esperienza irripetibile, resterà indelebilmente custodita tra i miei ricordi più belli e mi accompagnerà nelle fredde giornate di un inverno troppo lungo che mi accoglierà nel rientro a casa.
Fabrizio Loiacono
Antonio Di Bianca
Bellissimi i vostri lavori, ma soprattutto la bellezza si sente, nel rispetto e nell’amore che avete manifestato, accogliendo la diversità come un dono e un arricchimento personale e di gruppo. Grazie di essere stati con noi in questo progetto.
Namaste Shobha