Workshop individuale: RACCONTAMI UNA STORIA
Palermo 8-10 settembre 2014
Palermo, tutto è eccessivo, la bellezza, la decadenza, il fascino, la ribellione e la rassegnazione. Palermo contiene mille altre città, ognuna con i suoi mille riflessi; di queste, due città in particolare, a poche vie l’una dall’altra, distanti solo pochi minuti di cammino a piedi.
Sono due mondi che, ad uno sguardo veloce e non smaliziato potrebbero apparire distanti come pianeti di diverse galassie.
La città dei “poveri” con la miseria, i vicoli, i palazzi decadenti, la “munnezza” ed il suo odore acre ovunque, gli allevatori clandestini di cavalli, capre, animali come in una grande aia nella campagna, bimbi che giocano tutto il giorno in strada.
La città delle ragazzine nemmeno dodicenni: sognano di diventare veline, sognano un amore vero come tutte le ragazzine del mondo, si offrono felici all’obbiettivo chiedendo speranzose se le loro foto saranno pubblicate su qualche rivista.
Si assiepano intorno a Shobha, che già conoscono, e a me, sono felici, chiassose, ci trascinano veloci per i vicoli mettendosi in posa ad imitare consumate modelle.
Poi, lentamente, cambia l’energia tra noi e mi permettono di fotografare la loro parte più autentica nei loro giochi di bambine, nell’abbraccio amorevole delle due sorelline.
E c’è lei, la piccolina, è stata la prima a venirci incontro, composta, il viso quasi serio, racconta che è morto qualcuno, nel suo palazzo, ci segue cercando leggeri abbracci ed infilando appena può la sua manina nella mano di Shobha.
Sui muri scrostati, anneriti, crollati, murales degni di artisti guardano la vita che scorre, un albero davanti a loro abbraccia quel che resta di una colonna con le radici, che si allungano sulla terra cercando un prepotente equilibrio.
Poco distante, girati due o tre angoli di strada, gli alberi ben curati dei giardini non riescono a celare l’abbandono di statue mortificate, le ombre si allungano sulla piazza davanti alla magnificenza del teatro, sulle lucide panchine di pietra giovani agghindati chiacchierano pacatamente. Poco oltre, sul marciapiede, nel mezzo, seduta a terra una giovane donna porge ai passanti un bicchiere bianco di carta, lo sguardo implorante; la gente passa intorno a lei, la guarda, la evita, qualcuno, ogni tanto, si china e lascia cadere una moneta.
Di fronte una sorridente ragazza in piedi, immobile, vestita con un vistoso costume rosa da Peppa Pig pubblicizza qualcosa tra i passanti dello shopping del tardo pomeriggio. Due giovani innamorati sorridenti mostrano a noi la loro felicità e due novelli sposi posano nella notte per il loro fotografo davanti ai leoni del Teatro Massimo.
Livia Maturi
Livia Maturi
Vivo a Bolzano, nell’ ultimo pezzettino di Italia prima del confine, dove l’ essere italiani è quasi un difetto, dove la lingua più parlata è il tedesco, dove il clima è inclemente; da tre anni ormai seguo i workshop di Shobha, ogni volta un passo, ogni volta una scoperta, ogni volta un profondo arricchimento anche personale oltre che, naturalmente, fotografico. Ritorno sempre volentieri in Sicilia a fare il pieno di luce, calore, vitalità, nella ricerca della espressione fotografica che efficacemente rappresenti il mio mondo anche interiore, il mio modo di leggere la vita, che possa regalare anche a chi vede una diversa chiave di lettura, una riflessione, e forse un’ emozione.
Grazie Shobha, grazie Soraya.
Workshop individuale: RACCONTAMI UNA STORIA
Palermo 8-10 settembre 2014
Palermo, tutto è eccessivo, la bellezza, la decadenza, il fascino, la ribellione e la rassegnazione. Palermo contiene mille altre città, ognuna con i suoi mille riflessi; di queste, due città in particolare, a poche vie l’una dall’altra, distanti solo pochi minuti di cammino a piedi.
Sono due mondi che, ad uno sguardo veloce e non smaliziato potrebbero apparire distanti come pianeti di diverse galassie.
La città dei “poveri” con la miseria, i vicoli, i palazzi decadenti, la “munnezza” ed il suo odore acre ovunque, gli allevatori clandestini di cavalli, capre, animali come in una grande aia nella campagna, bimbi che giocano tutto il giorno in strada.
La città delle ragazzine nemmeno dodicenni: sognano di diventare veline, sognano un amore vero come tutte le ragazzine del mondo, si offrono felici all’obbiettivo chiedendo speranzose se le loro foto saranno pubblicate su qualche rivista.
Si assiepano intorno a Shobha, che già conoscono, e a me, sono felici, chiassose, ci trascinano veloci per i vicoli mettendosi in posa ad imitare consumate modelle.
Poi, lentamente, cambia l’energia tra noi e mi permettono di fotografare la loro parte più autentica nei loro giochi di bambine, nell’abbraccio amorevole delle due sorelline.
E c’è lei, la piccolina, è stata la prima a venirci incontro, composta, il viso quasi serio, racconta che è morto qualcuno, nel suo palazzo, ci segue cercando leggeri abbracci ed infilando appena può la sua manina nella mano di Shobha.
Sui muri scrostati, anneriti, crollati, murales degni di artisti guardano la vita che scorre, un albero davanti a loro abbraccia quel che resta di una colonna con le radici, che si allungano sulla terra cercando un prepotente equilibrio.
Poco distante, girati due o tre angoli di strada, gli alberi ben curati dei giardini non riescono a celare l’abbandono di statue mortificate, le ombre si allungano sulla piazza davanti alla magnificenza del teatro, sulle lucide panchine di pietra giovani agghindati chiacchierano pacatamente. Poco oltre, sul marciapiede, nel mezzo, seduta a terra una giovane donna porge ai passanti un bicchiere bianco di carta, lo sguardo implorante; la gente passa intorno a lei, la guarda, la evita, qualcuno, ogni tanto, si china e lascia cadere una moneta.
Di fronte una sorridente ragazza in piedi, immobile, vestita con un vistoso costume rosa da Peppa Pig pubblicizza qualcosa tra i passanti dello shopping del tardo pomeriggio. Due giovani innamorati sorridenti mostrano a noi la loro felicità e due novelli sposi posano nella notte per il loro fotografo davanti ai leoni del Teatro Massimo.
Livia Maturi
Livia Maturi
Vivo a Bolzano, nell’ ultimo pezzettino di Italia prima del confine, dove l’ essere italiani è quasi un difetto, dove la lingua più parlata è il tedesco, dove il clima è inclemente; da tre anni ormai seguo i workshop di Shobha, ogni volta un passo, ogni volta una scoperta, ogni volta un profondo arricchimento anche personale oltre che, naturalmente, fotografico. Ritorno sempre volentieri in Sicilia a fare il pieno di luce, calore, vitalità, nella ricerca della espressione fotografica che efficacemente rappresenti il mio mondo anche interiore, il mio modo di leggere la vita, che possa regalare anche a chi vede una diversa chiave di lettura, una riflessione, e forse un’ emozione.
Grazie Shobha, grazie Soraya.